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Stati Uniti e New York
Gli stati Uniti nei quali ho vissuto, con la mia famiglia, quasi otto anni è stata quella di Ronald Regan e di George Bush padre. Era un paese allora in piena espansione, anche economica, oltre che politica. Ricordo che mia moglie, all'arrivo a New York, decise che, anche se io avessi lavorato a Manhattan, cioè al centro della Grande Mela, avremmo abitato lontano dal grande centro. Dal momento che, contrariamente alle sedi non molto "agiate" dei paesi in via di sviluppo, nella sede delle Nazioni Unite di New York non c'era un comitato di benvenuto per aiutare i nuovi arrivati, per scegliere il posto dove avremmo vissuto operammo come segue.
Antonella ed io ci recammo alla stazione ferroviaria più vicina al Palazzo di Pietra (il mio ufficio era al n.1 di "UN Plaza", situato nella First Avenue, davanti al Palazzo di Vetro) e prendemmo il primo treno in partenza. Si trattava di uno di quelli che portava in Connecticut ed arrivava fino a New Haven. La prima fermata del treno in questione era nella città di Stamford, che, però ci parve troppo "grande città", per cui scendemmo alla fermata successiva, che si chiamava Norton Heights e faceva parte della cittadina di Darien, appunto in Connecticut. Vedemmo un'aerea molto ricca di verde, chiaramente residenziale, e decidemmo di fermarci lì a cercar casa: era a meno di quaranta minuti di treno dalla "Grand Central Station", a sua volta a due blocchi dal mio ufficio.
Quello che Antonella ed io non sapevamo era che si trattava di un'area abbastanza "wasp", sigla di White Anglo-Saxon Protestant, con la quale negli Stati Uniti, si designano le aree abitati da bianchi di origine anglosassone, che non vedono di buon occhio di abitare in vicinanza di minoranze etniche come gli italiani o, peggio ancora, gli afro-americani (cioè quelli dalla pelle scura). L'inserimento dei bambini nella scuola locale avvenne senza problemi tecnici: la Jakarta International School che avevano frequentato l'anno precedente aveva già un curriculum (cioè un programma) americano. La difficoltà venne dall'aspetto sociale, che noi non avevamo mai considerato nella ricerca dell'area di residenza, (e di cui né mia moglie né tanto meno io ci rendemmo mai veramente conto durante la nostra permanenza negli Stati Uniti): bambini con un'apertura mentale come i nostri, che avevano vissuto in tanti paesi così differenti tra loro, ebbero molte difficoltà ad essere accettati dagli altri alunni delle scuole di Darien.
Ciò malgrado, il nostro inserimento graduale avvenne, e in ufficio girava una battuta abbastanza emblematica del clima di convivenza pacifica: si diceva "La transizione di Franco Siciliano da "wop" a wasp". Ho già detto il significato di "wasp"; quello di "wop" è un acronimo dispregiativo usato negli Stati Uniti per indicare gli italiani d'America, basato sull'ordine invertito dell'espressione "Prisoner Of War".
Il fatto era che gli Stati uniti sono un paese di immigrazione, dove chiunque vi arrivi aspira a integrarsi e diventarne cittadino. Noi, invece, avevamo un visto speciale delle Nazioni Unite (il famoso "G4 visa") che era totalmente al di fuori degli schemi di immigrazione: un visto quasi "diplomatico". Devo dire che gli Stati uniti in generale, e la Città di New York in particolare hanno, negli anni, sviluppato una relazione di amore-odio con l'Oeganizzazione delle Nazioni Unite: da una parte sono felici di averne la sede nel loro territorio, ma dall'altra non hanno mai digerito la nozione di extra-territorialità che gli immobili dell'ONU hanno dappertutto. In più, l'americano medio - e quindi anche i media - non riesce a distinguere un "UN Diplomat", che è un diplomatico straniero accreditato presso le Nazioni Unite, e un funzionario delle Nazioni Unite stesse: mentre i primi godono della piena "immunità diplomatica", che deriva loro dall'appartenenza ad un corpo diplomatico nazionale, il quale, a sua volta gode, quindi della cosiddetta "reciprocità" che gli deriva da accordi bilaterali, i secondi non hanno affatto tale immunità, perché non appartengono a nessun paese. I funzionari ONU che servono in sede sono "internazionali" a tutti gli effetti e le organizzazioni per le quali lavorano, non godono di immunità se non limitatamente agli atti che compiono per il loro lavoro: le organizzazioni internazionali non possono, ovviamente, godere di nessuna "reciprocità". Le situazioni mostrate in molti film di Hollywood, che mostrano spesso "UN Diplomats" avvantaggiarsi del loro stato per non pagare le multe e non essere arrestati anche in flagranza di reato sono applicabili alle rappresentazioni diplomatiche, non ai funzionari, e tale non era certamente il caso nostro, e di tutto il personale UN che lavora nell'area di New York! Il fatto è che non riuscimmo mai a liberare i nostri vicini dall'idea che noi Siciliano fossimo dei privilegiati!
Dal punto di vista personale e professionale, a New York ho avuto alcune le esperienze personali tra le più frustanti della mia carriera ma anche alcune tra le più esaltanti, che hanno lasciato una traccia indelebile nella sfera delle mie competenze.
La fase della "gestione amministrativa"
Ero stato chiamato a New York perché ero considerato un manager innovativo, nel senso che era giunta voce che io applicassi varie tecniche di analisi provenienti dalle scienze matematiche, come quella che gli americani stessi chiamavano times and methods. Il lavoro che ero stato chiamato a fare era quello di cambiare il metodo di gestione dei viaggi, dalla fase di pianificazione del viaggio, a quella dell'organizzazione e a quella del controllo. Come capo del Travel Office mi misi subito al lavoro, raccogliendo dati dell'attività dell'intero ufficio, composto da una dozzina d'impiegati, coadiuvati dal numeroso personale dell'agenzia di viaggi che aveva vinto l'appalto. Nel frattempo il capo diretto della mia divisione, chiamata con l'acronimo DAMS, che sta per Division of Administrative and Management Services, aveva ricevuto una promozione ed era passato dall'UNDP alle Nazioni Unite. Al suo posto fu nominato una persona proveniente dal continente africano, ed io mi rallegrai della scelta. La persona in questione si rivelò per quello che era veramente, un avvocato formato a Londra, che sembrava aver perso i suoi legami col suo continente d'origine: un avvocato londinese con l'approccio di un avvocato, accoppiato ad un'abilità politica notevole.
Di lui ho solo pessimi ricordi. In quegli anni c'era stato lo sviluppo dei Personal Computers ed io, a casa mia ne avevo due, di cui uno era completamente usato dai miei figli; io stesso battevo con la tastiera i miei documenti ed era ormai diventata un'abitudine consolidata. Una volta lui mi chiese un rapporto su uno specifico aspetto dell'attività relativa ai viaggi. Io possedevo già tutti i dati necessari alla stesura del rapporto (avevo quasi ultimato il mio "studio") e la sera stessa, dopo la chiusura degli uffici, stavo redigendo questo rapporto, usando la sola postazione di "word processing" esistente nella Divisione (all'epoca nessuno aveva dei PC in ufficio). Alle otto di sera, il Direttore passò e mi vide alla tastiera e ne fu quasi sconvolto: "Tu sei un manager, non una segretaria"! Ad essere sconvolto fui, invece, io stesso, per la totale incomprensione del mio capo e per la sua evidente ignoranza della evoluzione della pratiche lavorative: solo cinque anni dopo ognuno dei funzionari di tutte le organizzazioni delle Nazioni Unite aveva un PC in rete, e le segretarie, non essendo più obbligate a battere a macchina, si concentravano nell'aiutare i loro capi nell'attività di gestione quotidiana o facevano altre cose!
Per tornare al mio lavoro, i risultati del mio studio erano inequivocabili: bisognava cambiare il regolamento che ci obbligava a certi controlli sui costi, ed affidare la gestione dei viaggi agli stessi viaggiatori, rendendoli finanziariamente responsabili per gli eventuali costi aggiuntivi da loro generati. Dopo averlo letto, il capo mi disse che i tempi non erano maturi per tali cambiamenti, che i miei impiegati avrebbero dovuto lavorare "molto di piu" e che avevano bisogno di un "uomo scure", cioè qualcuno che colpisse quelli che lui considerava impiegati pelandroni. Io gli mostrai i dati, dando delle spiegazioni su ciascuno di essi, uno dopo l'altro, e finii la mia presentazione dicendo che secondo me non avevano bisogno di un boscaiolo, ma di un "orefice". Due giorni dopo fui trasferito alla sezione "Communication and Records", sezione che non aveva problemi particolari, ed il capo di quella sezione, che aveva la reputazione di "uomo accetta" passò alla mia. Io considerai la decisione come ingiusta e stupida, ma feci buon viso a brutto gioco e mi dedicai al nuovo incarico con professionalità, se non con entusiasmo. Tra l'altro, avevo in gestione la tipografia dell'Organizzazione, che era molto attiva e popolare. Francamente, mi divertii molto ad imparare un nuovo mestiere: contribuii poco alla sua evoluzione, ma imparai molto! A questo periodo risale l'episodio che mi ha fatto collocare il mio capo dell'epoca tra "le persone più stupide che io abbia mai incontrate" (da notare che non ho menzionato né il suo sesso né la sua nazionalità). Tra i miei compiti dell'epoca c'era anche la gestione degli immobili. Un giorno uno dei miei assistenti, un palestinese di grande esperienza e cultura, mi chiamò dall'ospedale e mi disse che era ricoverato e che i medici sospettavano che potesse trattarsi della malattia del legionario. Se tale diagnosi fosse stata confermata, c'erano molte probabilità che l'avesse contratta in ufficio, il che metteva il nostro impianto di aria condizionata sotto accusa (la malattia del legionario si diffonde in prevalenza coi sistemi di aria condizionata). Con questa notizia fresca, io andai ad informare il mio capo, consigliando di tenere la notizia nascosta fino a quando la diagnosi non fosse stata confermata o esclusa. Con mio grande stupore il mio superiore gerarchico mi disse che "l'informazione di cui disponevo non era "ufficiale", e che dovevo totalmente ignorarla!". Inutile dire che non solo continuai a monitorare la situazione generale, ma dovetti farlo di nascosto, perché la direzione non voleva prendere alcuna azione. Una settimana dopo si seppe che non si era trattato di malattia del legionario, ma di una semplice polmonite, ma l'assoluta stupidità della reazione della direzione. Per la cronaca, la persona alla direzione della divisione divenne, qualche anno dopo, il presidente della repubblica del suo paese, dilaniato da una guerra civile, ancora ora che il potere è passato ancora una volta di mano. Confesso che ho compianto quel bellissimo paese, giudicando le capacità manageriali del nuovo capo di stato assolutamente inesistenti!
La fase della "gestione dei progetti di sviluppo"
Frustrato dalla mia esperienza di manager amministrativo, e desiderando ritornare alla mia antica professione di gestione di progetti di sviluppo, accostai la divisione che all'epoca era ancora parte dell'UNDP, e che si chiamava "OPE", acronimo che stava per "Office of Project Execution": avevo tutte le carte per diventare un "Project Management Officer" (PMO) e fui accettato. Iniziò così un bellissimo periodo della mia attività professionale, in cui potevo mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato negli anni precedenti. Dopo aver militato in una divisione che si occupava di progetti generici, che andavano dalla costruzione di strade, a progetti integrati con componenti "tecniche" e di "microcredito", passai ad una divisone specializzata in progetti "rimborsabili". Mi si aprì un mondo dello sviluppo a me ancora totalmente sconosciuto: se un governo deve rimborsare il costo di un progetto di sviluppo, bisogna assicurarsi che il progetto stesso sia in grado di produrre la ricchezza necessaria a tali rimborsi, con risultati chiari e prevedibili. Quindi nella formulazione di tali progetti sono incluse delle sofisticate analisi dei flussi finanziari - positivi e negativi - futuri. Fui felicissimo di imparare tali tecniche con uno studio impegnativo. Ricordo ancora l'impegno che misi nell'apprendere l'uso dell'indice statistico chiamato "internal rate of return", nozione che era assolutamente nuova per me. E' stato forse il momento professionalmente più esaltante della mia lunga carriera di uomo di sviluppo, e ancora oggi, mi ritengo privilegiato per avere partecipato a tale processo.